La scuola superiore riapre? Sì, forse, no. USB: solo a certe condizioni
Nell’ultimo DPCM è scritto che le scuole superiori riapriranno in tutto il paese dal 7 gennaio ma negli ultimi giorni si susseguono voci contrarie, a partire da Gianni Rezza, direttore della prevenzione del Ministero della salute, per proseguire con il governatore del Veneto, Zaia, che sposterebbero la riapertura oltre metà gennaio. Dello stesso parere un gruppo di presidi piemontesi.
Il concetto è semplice: riaprire in queste condizioni, con questi livelli di contagi aumenterebbe il rischio per tutta la popolazione, considerando che dietro i docenti e gli studenti ci sono milioni di famiglie.
Intanto i movimenti dei genitori spingono con forza per una celere riapertura, lamentando l’inefficacia assoluta della didattica a distanza, il suo carattere classista ed escludente, la fatica immane richiesta ai loro figli, chiusi in casa per circa cinque mesi nel corso degli ultimi otto. Privi di vita sociale, scambi, attività. E chi lavora a scuola sa che questo è un problema reale, i ragazzi delle superiori sono provati, stanchi, in alcuni casi vivono situazioni depressive che li spingono a rinchiudersi ancora di più in casa, o momenti di sconforto davvero difficili da gestire. E anche per i docenti la situazione non è rosea: fare lezione a distanza, non avere scambi coi colleghi, sentirsi soli, isolati, con una perenne sensazione di insegnare per finta.
Intanto chi non ha mai smesso la didattica in presenza o la ha ripresa da poco, educatrici dell’infanzia, maestre e docenti delle medie inferiori, sono preoccupati e vivono in mezzo a classi in quarantena, casi tra colleghi, con una sensazione di profonda insicurezza e molta paura.
Cosa dire in una situazione del genere? Che posizione prendere?
USB scuola, in un contesto come questo, non può che ribadire ciò che afferma con forza dall’inizio della prima ondata: il diritto alla salute non può e non deve essere messo in contrapposizione a quello allo studio e, osiamo dire, ad avere una vita per milioni di ragazzi.
Servono investimenti, torniamo a gridarlo, per aule più ampie, classi dimezzate, più docenti, più personale ATA. Servono mascherine FFP2, non quegli stracci di produzione FCA, che abbiamo contestato con forza presso l’Istituto Nazionale di Sanità.
Serve che questo paese investa in una scuola in presenza, viva, forte e sicura.
Invece quello che leggiamo nella legge di bilancio sono milioni di euro investiti in digitalizzazione, più di 8 milioni all’anno dal 2021 in poi, in formazione digitale per i docenti, aumenti irrisori di personale nell’ottica di una didattica inclusiva sempre digitalizzata, come se questi mesi non avessero dimostrato che DaD è assolutamente uno strumento inadeguato e alienante. Tutto questo mentre migliaia di precari attendono la fine di un assurdo concorso straordinario, interrotto a metà per una prevedibilissima seconda ondata. Questi docenti non entreranno in ruolo quest’anno, come promesso e tanto meno i loro colleghi che ancora attendono il concorso ordinario.
E anche dei 19,2 miliardi del Recovery Fund investiti in istruzione, molta parte vanno a finanziare le competenze digitali.
No, ministra Azzolina, no presidente del consiglio Conte, non è questa la strada.
La strada è ridare ai lavoratori della scuola e agli studenti una scuola in presenza e sicura, garantire tamponi a tappeto e ripetuti e tracciamenti certi.
La strada è investire nella scuola statale, come nessun governo, di qualunque colore politico fosse, fa più da almeno 30 anni.
Noi ribadiamo che vogliamo tornare a scuola e vogliamo farlo in sicurezza, in questo senso andranno le nostre azioni di lotta e le nostre richieste a questo governo sempre più inadeguato al suo compito.