Relazione introduttiva
Sono passati circa 9 mesi dal Congresso Nazionale di Fiuggi dal quale la nostra identità di sindacato di base, indipendente e conflittuale è uscita sicuramente rafforzata.
Un congresso che ha evidenziato la necessità di rispondere all’attacco alle condizioni dei lavoratori, intensificando le lotte sindacali “tradizionali” nei settori che organizziamo ed in quelli che sono organizzati dal resto della Confederazione Unitaria di Base, ma anche attraverso la costruzione ed il sostegno alle nuove forme di contrattazione sociale che si stanno affermando e che mettono al centro: il diritto al reddito, al lavoro, alla casa, allo studio, alla cultura, ad una vita dignitosa e non precaria.
In questo senso, le ancora giovani esperienze dei “comitati della quarta settimana” che si pongono l’obiettivo di combattere il carovita con forme di lotta nuove e sperimentando nuove forme di contrattazione sociale (la controparte non sono i datori di lavoro ma, per esempio, i soggetti parassitari e speculativi della lunga filiera della grande distribuzione commerciale che è uno dei fattori principali dell’aumento vertiginoso dei prezzi al consumo) che pur stiamo praticando sul nostro territorio in sinergia con altri soggetti organizzati e in alleanza con altri settori sociali come quello dei piccoli produttori, possono portare ad importanti risultati.
Dobbiamo fare uno sforzo perché queste lotte, queste vertenze, siano un patrimonio di tutta l’organizzazione, siano praticate su tutto il territorio regionale e portino a risultati concreti; le possibilità e le potenzialità certamente non mancano.
Ad esempio, il protocollo d’intesa firmato con la giunta Cofferati, prevede un confronto per l’apertura di mercati rionali, a filiera corta, gestiti dai piccoli produttori. Dobbiamo fare in modo che dalle parole si passi ai fatti.
Altro esempio quello della lotta per il diritto alla casa, il sostegno a tutte quelle iniziative, nessuna esclusa, (anche quelle che hanno subito e stanno subendo una campagna denigratoria e repressiva) da parte della nostra associazione AS.I.A. è un esempio di come intendiamo il lavoro sindacale, di come crediamo impossibile separare la questione dei diritti da quella del lavoro e della contrattazione.
Ed ancora le lotte contro la precarietà e per i diritti e la dignità dei lavoratori immigrati, sono parte centrale di quel programma di lotte che abbiamo definito collettivamente nel congresso nazionale.
Nostro compito da oggi è quello di attrezzarci affinché la Federazione Regionale diventi lo strumento, il luogo, dove elaborare, strutturare e coordinare tutto ciò.
Dobbiamo, però prima avere ben chiaro la natura dello scenario politico-sindacale nel quale ci muoviamo
IL CONTESTO POLITICO-SINDACALE
La concertazione e il nuovo patto sociale
La concertazione definita dagli accordi del 1992-1993 è, in questi ultimi anni, definitivamente entrata in crisi perché ormai considerata inutile dal padronato e dal governo, ma allo stesso tempo sta emergendo la ricerca spasmodica da parte dei sindacati concertativi di un nuovo patto fra sindacati, padronato e futuro governo.
Quel patto di oltre 10 anni fa che ha visto insieme CGIL, CISL, UIL, Governo e padronato, governare le politiche del paese, ha permesso di comprimere fortemente i salari ancorandoli al tasso d’inflazione programmato, ha ridotto drasticamente la forza contrattuale del movimento sindacale spalancando la porta alla legge antisciopero, ha reso precario il lavoro aprendo la strada al pacchetto Treu e preparando il terreno per la Legge 30 (Biagi).
Per comprendere quali siano stati i risultati di oltre 10 anni di concertazione, basta pensare che mentre nel 1994 il valore aggiunto delle grandi imprese andava per il 46% alle retribuzioni, per il 18% allo stato, per il 7% alle banche e per il 29,5 agli azionisti, nel 2004 alle retribuzioni andava solo il 32%, allo stato il 13,5 alle banche il 9%, agli azionisti il 46%.
Non a caso nel 2004 i primi venti gruppi industriali italiani hanno aumentato i profitti del 50% mentre i ricavi sono cresciuti del 9% e si è ridotta l’occupazione del 2,2% (fonte: Corriere della Sera a luglio 2005).
Contro i frutti avvelenati della concertazione l’unica opposizione è stata quella del sindacalismo di base ed indipendente che ha fatto del conflitto lo strumento di regolazione degli interessi in campo.
Oggi finita la fase del “conflitto cofferatiano” utile esclusivamente a rinsaldare l’alleanza di centro-sinistra uscita a pezzi dalle elezioni politiche del 2001, la CGIL, in un ritrovato clima unitario con CISL e UIL a cui si aggiunge “la cara amica Polverini” (segretaria dell’UGL), lancia dal proprio congresso l’idea di “un patto di legislatura con il prossimo governo” riproponendo così le basi per una nuova concertazione.
Infatti Epifani:
· rivendica la validità della politica salariale sin qui seguita che è servita, secondo lui, a difendere il potere di acquisto dei salari nonché un ruolo di punta della CGIL nella lotta contro il lavoro precario (sic!)
· chiede al padronato di non essere troppo ingordo sulla ipotizzata riduzione del cuneo fiscale presente nel programma dell’Unione (meno contributi a carico dei datori di lavoro) in modo da lasciarne una parte ai lavoratori.
· si propone, al di là delle formali rivendicazioni d’autonomia, quale sindacato di riferimento del futuro governo
Tutto ciò con buona pace di chi ha pensato(non noi) che il cofferatismo prima e la conflittuale FIOM poi, stessero determinando una modifica della natura di questo sindacato.
Il cofferatismo ha visto il suo epilogo con l'avvenuta elezione a sindaco di Bologna dello stesso Cofferati le cui politiche sociali sono sotto gli occhi di tutti.
Il nostro ruolo nel contrastare queste politiche e nel rapporto con la giunta che inevitabilmente riempie le cronache non solo locali ma anche nazionali è stato fino ad oggi straordinario.
Dalla lotta, per ripristinare il 30% di salario accessorio sottratto ai dipendenti comunali (le mutande sventolate in consiglio comunale) che abbiamo vinto, fino al verbale di accordo siglato in sede di trattativa sul bilancio 2006.
Il gruppo dirigente FIOM invece è stato politicamente sconfitto a gennaio dalla firma di un contratto che attua uno scambio fra il salario e la flessibilità (55 euro lordi mensili a fronte di 60 mesi di apprendistato e dell’orario plurisettimanale) e che determina il mutamento degli assetti contrattuali aumentando di sei mesi la durata biennale della parte economica.
Sconfitta che, stando alle conclusioni del congresso confederale CGIL, si trasforma in vera e propria normalizzazione.
Il governo che verra’
Ci troviamo oggi di fronte ad uno scenario dominato dalle imminenti elezioni politiche dove gli interessi dei lavoratori, dei pensionati, dei disoccupati, dei ceti popolari in genere, non trovano spazio adeguato in nessuno dei due programmi.
Il centro sinistra, che oggi si candida con forza a governare il paese, quando era al governo, in nome della competizione globale, del libero mercato e del primato della logica d'impresa, aveva ridotto salari e diritti, smantellato il sistema pensionistico e il servizio sanitario, privatizzato i servizi sociali e quelli a rete, destrutturato il mercato rendendo sempre più facile assumere e licenziare.
Tutto questo, con la convinta partecipazione di CGIL, CISL e UIL, che, con una linea sindacale basata sulla concertazione e subalterna agli interessi delle imprese, della grande finanza e dei governi che li rappresentano, si sono impegnati a fondo a far accettare queste politiche ai lavoratori.
Un organico attacco alle conquiste dei lavoratori, dunque, portato poi alle estreme conseguenze dal governo di Berlusconi che ha ridotto al minimo la concertazione con CGIL, CISL e UIL e puntato allo scontro frontale col sindacato concordando però con essi la gestione del TFR.
Berlusconi si è inoltre caratterizzato per una politica esplicitamente reazionaria in materia di diritti civili e nella difesa spregiudicata dei propri interessi personali.
Nonostante questo disastroso scenario, l’Unione si candida a governare il paese senza proporre una reale inversione di tendenza, con un programma dove in estrema sintesi:
§ Non c’è una proposta organica in merito alla necessità di un recupero salariale o di una redistribuzione del reddito a favore del lavoro dipendente.
§ Rispetto alle questioni del mercato del lavoro e della precarietà (che se viene progettata e gestita da loro viene chiamata "buona flessibilità"), non si intende abrogare la Legge 30, ma alcune tipologie (job on call, staff leasing e il contratto di inserimento), "risultate estranee alle stesse esigenze delle imprese".
§ Si rilancia la Legge Treu, con lavori a progetto (ex Co.co.co) e lavoro interinale.
§ Analogo ragionamento vale per le politiche sull’immigrazione. Non basta abrogare gli aspetti più negativi determinati dalla Legge Bossi-Fini, bisogna dare pari diritti e dignità nel lavoro e nella vita ai lavoratori immigrati
§ Si parla di ampliamento degli ammortizzatori sociali (CIG ecc). Prodi in varie interviste, cita come esempio di "corretta flessibilità in uscita", il modello danese, che consente all'imprenditore di licenziare liberamente, utilizzando il cosiddetto "quick firing" (licenziamento veloce). Ai lavoratori licenziati viene garantita la formazione professionale e 3 anni di indennità di disoccupazione con il 70% dello stipendio a spese dello Stato.
§ Si propone (non nel programma, ma direttamente in numerose interviste) una riduzione del 5% del costo del lavoro, in un anno (si parla dai 20 ai 40 miliardi di euro). Il taglio riguarderebbe, prevalentemente, i contributi sociali, previdenziali e sanitari, versati prevalentemente dalle imprese che servono a finanziare il sistema pensionistico e la sanità pubblica.
§ Si promette, in modo preciso e dettagliato, uno sviluppo delle privatizzazioni dei servizi sociali e di quelli a rete, della sanità, e della previdenza (con il TFR) e l'incremento del cosiddetto federalismo fiscale. La previdenza privata viene definita "il pilastro del futuro".
§ Si annunciano finanziamenti con denaro pubblico alle imprese, per ristrutturazioni, ricerche, innovazioni tecnologiche e credito per le esportazioni.
In questo scenario, il compito affidato a CGIL, CISL e UIL dovrà essere quello, in base ad un copione ampiamente collaudato, di ridurre al minimo la conflittualità sociale e di far accettare i nuovi sacrifici ai lavoratori in cambio della possibilità di partecipare, anche se in modo subalterno, alle decisioni assunte da governo, Confindustria e grandi banche in materia di politica economica e sociale. Senza dimenticare la garanzia di mantenere e accrescere (pensiamo al TFR) un consolidato potere economico esercitato attraverso i CAF, i patronati, la gestione di corsi di formazione e di cooperative, la possibilità di gestire il lavoro in affitto.
IL RUOLO POSSIBILE DELLA RdB-CUB
Di fatto, con tutti i nostri limiti, ma anche con tutte le nostre potenzialità, rimaniamo noi della CUB, l'unico sindacato (insieme a poche altre realtà del sindacalismo di base) a provare a rappresentare gli interessi del mondo del lavoro dipendente.
Le nostre proposte sono le uniche a prevedere una difesa coerente dei lavoratori.
Il nostro programma è l'unico a provare a dare risposte ai bisogni dei lavoratori, ad offrire una prospettiva partendo da un punto di vista indipendente dal quadro politico istituzionale e alternativo a quello delle imprese, delle banche e del governo, mettendo il conflitto al centro della propria azione, al di fuori e contro le logiche e i valori del mercato e del profitto:
Dobbiamo fare ogni sforzo possibile per diventare un punto di riferimento, un'alternativa credibile per i lavoratori.
Dobbiamo cercare un consenso attivo (anche attraverso il tesseramento) e non solo un'approvazione generica sulle nostre proposte.
Dobbiamo riuscire a coinvolgere i lavoratori nelle nostre iniziative e nelle nostre lotte.
La situazione, per le cose fin qui dette, ci carica di grande responsabilità, ma allo stesso tempo ci offre grandi spazi di azione.
IL NOSTRO PROGRAMMA
Abbiamo un programma che offre prospettive reali e credibili, che prova a dare risposte ai bisogni dei lavoratori:
1. la difesa del salario e del reddito, anche attraverso una raccolta di firme (insieme con tutto il sindacalismo di base ) per una legge di iniziativa popolare che riproponga una nuova scala mobile: l'unico sistema che può garantire un recupero certo del salario, un'effettiva redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori, ed impedire lo scambio salario/flessibilità. La raccolta di firme nei luoghi di lavoro e nelle piazze, rappresenta inoltre un'importante occasione per far conoscere le nostre proposte e per entrare in rapporto con ampi settori del mondo del lavoro;
2. La lotta alla precarietà lavorativa e sociale costituisce un elemento centrale del programma della RdB e della CUB, a tutti i livelli: dalle lotte per assunzioni a tempo indeterminato, alla promozione del MayDay, alle proposte di legge regionali e nazionali, alla contrattazione sociale dei comitati della IV settimana ecc…
3. la difesa del diritto di sciopero e della democrazia sindacale che metta al centro il diritto dei lavoratori di potere scegliere liberamente da chi essere rappresentati senza restrizioni di sorta e soprattutto la possibilità di potere decidere in prima persona del proprio futuro.
4. la difesa del TFR e della previdenza pubblica.
La questione riveste grande importanza, oltre che per la rilevanza stessa del tema, anche perché è utile a far comprendere l'ulteriore involuzione di CGIL, CISL e UIL. Fino ad oggi eravamo abituati a vedere questi tre sindacati contrattare il peggioramento della nostre condizioni in cambio del riconoscimento di un ruolo istituzionale e di un po' di soldi pubblici a sostegno di patronati, etc, etc.
In questo caso invece, CGIL, CISL e UIL vanno oltre la concertazione e scelgono di impadronirsi direttamente di quote garantite di salario dei lavoratori e di gestirle nei consigli di amministrazione insieme ai datori di lavoro, attraverso speculazioni finanziarie dall'esito del tutto incerto.
LE POLITICHE REGIONALI
La giunta Errani, ancora una volta, propone il modello emiliano-romagnolo come esempio per il futuro governo del paese e questo a ben vedere conferma le critiche, le preoccupazioni e il programma di lotte coerente ed articolato che abbiamo cominciato a tradurre in iniziative concrete e che dobbiamo meglio organizzare ed intensificare.
Aumento della disoccupazione e della precarietà.
Un recente studio statistico Regione/Istat che prende in esame l’intero territorio regionale ci dice che per la prima volta nell’ultimo quinquennio la disoccupazione è in aumento e a questa si affianca una crescita del lavoro incerto ed irregolare
Nello studio si legge che:
· “la dinamica delle principali grandezze del mercato del lavoro in Emilia-Romagna nel corso del 2004 evidenzia una significativa inversione di tendenza rispetto a quanto avvenuto nel passato recente e, più in generale, nell’ultimo quinquennio, infatti nel 2004 vi è una riduzione degli addetti (-24000).
· Crescono gli atipici. Su un totale di 1 milione e 850 mila occupati, in Emilia-Romagna i lavoratori atipici sono in complesso nel 2004 quasi 400 mila, con una quota che supera il 20%.
Classificazione questa ultima che non tiene conto della qualità dell’occupazione che per esempio per quanto riguarda i soci di cooperative che è estremamente flessibile e non garantita temporalmente in quanto strettamente legata alla durata dei contratti di appalto
In questo contesto di grande precarietà, l’operazione fatta dalla giunta regionale con la contrattazione relativa al precariato interno all’Ente Regione, composto da circa 400 lavoratori a tempo determinato, co.co.co, c.f.l., interinale ecc…è grave ed illuminante di ciò che potrebbe accadere su scala nazionale per la p.a. se non riusciremo a strutturare un forte movimento nazionale che si ponga l’obiettivo della stabilizzazione di tutti i precari.
A quella trattativa abbiamo partecipato anche noi, portando al tavolo, a differenza delle altre sigle, in modo unitario la struttura aziendale, quella di categoria e quella territoriale.
Abbiamo alla fine giustamente scelto di non firmare un accordo che prevedeva l’assunzione di soli 91 precari semplicemente già presenti nelle graduatorie concorsuali pubbliche e che toglieva ogni possibilità di stabilizzazione a tutti gli altri.
Alla Giunta regionale avevamo chiesto un atto di disobbedienza alla Legge Finanziaria che blocca le assunzioni e taglia i fondi per il personale.
Così non è stato ed anzi, ancora peggio: l’accordo è stato proposto esplicitamente dalla Giunta quale esempio da seguire per il futuro governo e non a caso nei giorni scorsi il Sole 24 Ore gli ha dato ampia pubblicità.
Una politica sociale fatta di privatizzazioni “soft” e di “inevitabili” tagli al welfare locale.
Tutta la legislazione regionale è improntata allo sviluppo ed al governo dei processi di privatizzazione dei servizi e al ridimensionamento degli stessi.
Alcuni esempi:
La legge sui trasporti che superando in peggio il Governo Berlusconi obbliga gli Enti Locali proprietari del trasporto pubblico locale a mettere a gara il servizio.
Qui è bene soffermarsi un attimo per ricordare a tutti noi che grazie alle nostre lotte, agli innumerevoli scioperi degli autoferrotranviari e alla nostra capacità di legare la lotta più strettamente sindacale (quella di difesa dei diritti contrattuali acquisiti) al più generale diritto alla mobilità che riguarda l’intera comunità, stiamo dimostrando che si possono ottenere dei risultati significativi.
La legge sulla scuola che è stata sventolata come una Legge di salvaguardia della scuola pubblica, che invece, ossequiosa della Legge Berlinguer, ha finanziato, attraverso una partita di giro con gli Enti Locali, la scuola privata ed in particolare quella confessionale.
La nostra lotta per azzerare il finanziamento alla scuola privata portata avanti nella contrattazione sul bilancio con la Giunta Cofferati va rafforzata in previsione degli imminenti finanziamenti previsti per il prossimo anno scolastico e bisogna cercare di estenderla ovunque possibile in regione.
In questo senso è estremamente importante la nascita della CUB scuola che noi come RdB stiamo attivamente sostenendo, ma per la crescita della quale, dobbiamo tutti impegnarci in prima persona per fare in modo che la rappresentanza di una categoria così importante non rimanga ad appannaggio di organizzazioni concertative, corporative o peggio ancora parolaie.
La legge sui servizi educativi che in premessa invita esplicitamente i comuni ad appaltare gli asili nido.
Ne stravolge il ruolo educativo e pedagogico che ci è stato per lungo tempo invidiato e che è stato oggetto di studio in molti Paesi (i migliori asili del mondo), assimilandoli a servizi di badantato, che produce un arretramento anche di tipo culturale.
Siamo orgogliosi delle lotte che su questo versante, quotidianamente conduciamo, cercando sempre un’unità di azione con gli utenti, ma anche qui dobbiamo fare in modo che tutta l’organizzazione si senta coinvolta.
La politica sanitaria fatta di: aziendalizzazione spinta delle strutture sanitarie pubbliche, di tagli ai servizi pubblici, di finanziamenti alle strutture private, di aumento dei costi delle prestazioni ai cittadini; e di trucchetti quali il passaggio di servizi e utenti dal settore sanitario a quello sociale che non garantisce gli stessi obblighi di prestazione.
Un sistema sanitario regionale che si regge sui finanziamenti delle regioni più arretrate del nostro paese che pagano le prestazioni per i loro cittadini costretti ad “emigrare” per avere una prestazione sanitaria.
Non la condividiamo, non ci piace, non è quello per cui stiamo lottando.
Ed infine la “Legge Bastico” che viene rappresentata come l’alternativa alla Legge 30 (Biagi). Una legge vetrina fatta di principi generali sull’importanza della qualità del lavoro ma che in concreto è priva di finanziamenti e che prevede come soluzione alla precarietà la creazione di commissioni di concertazione ai più vari livelli ed un sistema di sgravi alle imprese. Una Legge che non modifica di una virgola l’impatto della Legge 30.
Il modello cooperativistico
Ciò che più contraddistingue il modello economico-sociale emiliano romagnolo e però la forte presenza ed il ruolo estremamente pesante in tutti i campi dell’economia e del sociale del cosiddetto mondo cooperativo del quale uno spaccato è emerso recentemente con il caso Unipol. Quello che è successo riguarda tutti perché ha fatto emergere, di nuovo con forza, un sistema di speculazioni che danneggia tutti: si sottraggono risorse sociali prodotte dai lavoratori a favore di pochi speculatori e ai danni dei cittadini.
In quei giorni, nelle polemiche sulla stampa e nelle stanze della politica un soggetto non è stato mai nominato: i lavoratori delle cooperative.
Lo scandalo che ha coinvolto anche il mondo delle cooperative è solo l’ennesimo elemento di conferma di un processo di trasformazione che ha origini ormai decennali.
Lavorare in una cooperativa, da molto tempo, non rappresenta di per se un vantaggio rispetto al lavorare per un "normale" datore di lavoro: i livelli di precarietà sono aumentati anche più che negli altri settori, e i salari sono spesso condizionati da deroghe peggiorative rispetto ai contratti collettivi nazionali di lavoro.
Le cooperative si sono, inoltre, specializzate in settori legati alle privatizzazioni ed alle dismissioni di importanti pezzi di servizi pubblici, i lavoratori soci e non soci vengono impiegati in appalti e commesse sempre più sottopagati e saltuari.
E’ questo il "bel mondo" delle cooperative, e non si tratta di una o più mele marce ma di un problema da risolvere partendo dai diritti dei lavoratori e soci lavoratori delle cooperative, dalla realtà degli innumerevoli soprusi nei confronti dei lavoratori/trici delle pulizie, del sociale, dei servizi sanitari, del facchinaggio, dei trasporti, della piccola e grande distribuzione, degli appalti in genere.
Non ci interessa discutere della "diversità" delle cooperative, vogliamo invece discutere del fatto che è necessario che i lavoratori delle cooperative abbiano almeno gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori delle "normali" imprese.
Per questo la nostra crescita sia in termini numerici che in termini di incisività fra le lavoratrici e i lavoratori del settore è un fatto molto importante.
LA FEDERAZIONE REGIONALE
Per affrontare temi e problemi così difficili e complessi dobbiamo partire dall’importante occasione di confronto che ci offre la giornata odierna ed iniziare a progettare seriamente lo sviluppo politico e soprattutto organizzativo del nostro sindacato.
Cosa questa che ci investe tutti di notevoli responsabilità e che si potrà realizzare solo se saremo in grado di comprendere la realtà che ci circonda, di rapportarci ad essa definendo bene il ruolo da svolgere, le priorità di intervento ed operando le scelte conseguenti utilizzando le risorse disponibili (che purtroppo sono sempre insufficienti per realizzare tutto ciò che vorremmo) evitando accuratamente di stilare un elenco di desiderata.
E’ nostro compito oggi eleggere un Coordinamento Regionale, che avrà in primo luogo il compito di predisporre le condizioni politico-organizzative per realizzare le scelte programmatiche stabilite nel Congresso Nazionale di Federazione, arricchite ed integrate con contributi originali frutto delle analisi, del dibattito e dell'attività in regione.
In altre parole, i membri di questo nuovo strumento organizzativo, insieme con i coordinamenti delle Province e con le categorie dovranno farsi carico, in modo collettivo e dialettico, del coordinamento, della gestione e della crescita complessiva dell'organizzazione.
Dovranno assumersi la responsabilità di pensare ed agire come rappresentanti, non solo e non tanto del proprio posto di lavoro o della loro categoria, ma anche e soprattutto dell'intera organizzazione.
Presupposto essenziale per realizzare questi obiettivi è la conoscenza precisa e dettagliata della nostra presenza, della consistenza e dello "stato di salute" della RdB nel territorio regionale. Un quadro adeguatamente definito di ciò che esiste e di come è strutturato, di come viene svolta l'attività sindacale, dei risultati che si ottengono.
Per questo obiettivo, il coordinamento nazionale ha ormai portato a compimento il documento atto a condurre l’inchiesta interna all’organizzazione, con il quale tutti dovremo rapportarci senza arroccamenti e snobismi di sorta.
Si tratterà quindi per il Coordinamento, in rapporto con le categorie e i Coordinamenti provinciali:
§ Di valutare la qualità dell'attività sindacale svolta e il funzionamento, ad ogni livello dell’organizzazione;
§ Di fare emergere, da un lato le problematiche e i punti deboli e, dall'altro, valorizzare le potenzialità esistenti;
§ Di contribuire alla definizione e alla concreta attuazione dei piani di lavoro previsti da parte delle categorie, dei settori e dei Coordinamenti provinciali.
§ Di progettare lo sviluppo dell’organizzazione nei settori che si ritengono strategici e nelle province dove vi siano le condizioni per farlo
§ Di consolidare ed estendere su tutto il territorio regionale la rete dei servizi che già oggi siamo in grado di offrire ai lavoratori
Per realizzare l’ambizioso ma irrinunciabile obiettivo, del nostro sviluppo regionale che non sia centrato esclusivamente su Bologna, occorrerà che tutti noi, indipendentemente dalla posizione che ricopriamo, lo assumiamo quale priorità d’intervento.
Possiamo e dobbiamo contribuire tutti in modo fattivo alla sua realizzazione, consentendo così al nuovo coordinamento di lavorare con serenità e determinazione.
Del resto ci deve fare ben sperare il fatto che in poco più di 2 anni di lavoro, facendo le scelte giuste ed indirizzando le risorse nelle giuste direzioni, siamo riusciti, a Bologna, ad aumentare in modo straordinario il nostro peso politico riuscendo ad intervenire, anche con importanti risultati, sulle politiche territoriali.
Così come sta divenendo una realtà il lavoro territoriale svolto dal coordinamento provinciale di Parma e da quello di Ravenna, città dove abbiamo aperto due sedi di federazione ed alle quali dovrebbe seguire fra poco quella di Ferrara.
Con questa relazione voglio indicare un percorso di lavoro, lasciando al dibattito e al futuro coordinamento l’analisi sullo stato dei singoli comparti nei quali, da dopo il congresso nazionale è cominciato un percorso riorganizzativo che non può che concludersi dopo l’esito di questo congresso.
Penso per esempio al pubblico impiego dove si è cominciato un percorso progettuale interno ai singoli settori, nonché alla inevitabile ricollocazione di alcuni di noi all’interno dell’organizzazione a seguito dei compiti che il congresso gli assegnerà.
La Confederazione Unitaria di Base
Oltre a partecipare alla gestione delle strutture esistenti, nel modo schematicamente indicato, il Coordinamento dovrà mettere in grado l'organizzazione di fare un vero e proprio salto di qualità e, insieme alle altre organizzazione della CUB, incominciare a misurarsi e intervenire complessivamente in merito a tutte le questioni di politica sociale ed economica che riguardano direttamente e indirettamente le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori, più o meno precari, più o meno italiani, dei disoccupati e dei pensionati.
In Emilia-Romagna non abbiamo avuto problemi a definire un livello più avanzato di coordinamento e di unità a partire dall'identità collettiva costruita in questi anni e da una piattaforma generale di lotta, che nelle sue linee essenziali esiste già e che è condivisa dal resto della CUB il cui sviluppo è vitale per tutti e che, sottolineiamo, non ha alternative credibili
Non vogliamo però nascondere il fatto che uno sviluppo adeguato della CUB in Emilia Romagna, sarà possibile se troveremo il modo, insieme, di rafforzare le altre organizzazioni sindacali che fanno parte della CUB e se le stesse saranno in grado di destinare le risorse necessarie perché ciò sia possibile.
Penso ad esempio alla FLMU (Federazione Lavoratori Metalmeccanici Uniti) che ha delle delegate e dei delegati straordinariamente capaci ma ai quali mancano le risorse necessarie per intercettare ed organizzare quei lavoratori metalmeccanici che in tanti ci contattano esprimendoci la necessità di un sindacato indipendente e di base.
Queste sono le sfide e i compiti che abbiamo davanti a noi e che insieme possiamo realizzare.
Bologna 15/03/06