Focolaio Casa Rodari, 2 utenti morti. I lavoratori chiedono spiegazioni
La struttura residenziale per disabili adulti CSRR Casa Rodari, gestita in accreditamento dalla Coop CADIAI, dopo la conclamazione del focolaio dei giorni scorsi tra utenti e lavoratori, ha registrato proprio in queste ore il secondo decesso tra gli ospiti.
Dalle ricostruzioni fatte insieme ai lavoratori della struttura, emergono i primi interrogativi sull’efficacia della gestione e delle misure di prevenzione messe in campo.
Circa 15 giorni fa sono iniziati i primi episodi febbrili di alcuni utenti e ben presto, dopo l’effettuazione dei tamponi a ospiti e operatori, la situazione ha rivelato la sua gravità: 19 ospiti su 20 sono risultati positivi e così pure 18 operatori. Successivamente ci sono stati 4 ricoveri in ospedale di cui due hanno purtroppo portato al decesso di utenti della struttura.
Le domande che sorgono spontanee sono diverse, proprio in considerazione del fatto che la struttura ha attraversato indenne la prima ondata di marzo-maggio, e che gli ultimi tamponi della metà del mese di ottobre avevano dato esito negativo per tutti gli operatori e gli utenti.
Come si è potuto giungere a tale situazione di estensione del focolaio, nel periodo che va da ottobre a novembre?
Le procedure raccomandate dai protocolli sono state messe in atto al verificarsi dei primi episodi febbrili, in particolare riguardo l’isolamento?
La dotazione di DPI fornita in questi mesi, ai lavoratori della struttura, era idonea alla situazione che potenzialmente andava delineandosi? A tal proposito, ci viene segnalato che mascherine ffp2, camici, visiere e quant’altro siano arrivati in struttura solo il giorno dopo la conclamazione del focolaio.
Facciamo alcune considerazioni: la specificità dell’utenza di Casa Rodari difficilmente permette, o non lo consente affatto, di ricorrere a misure come l’isolamento cautelare dell’ospite con infezione da Covid-19 sospetta o accertata. È però altrettanto vero che l’organizzazione del lavoro in questa residenza è spesso stato oggetto di controversie sindacali, con rivendicazioni che vanno dalla criticità del rapporto utenti/operatori alla inadeguata presenza di spazi logisticamente idonei alla gestione degli ospiti. In una recente assemblea sindacale i lavoratori ribadivano le difficoltà e finanche una situazione igienico-ambientale insufficiente.
Col verificarsi del focolaio infettivo da Covid-19 ad aggravare il quadro esposto concorre la quasi impossibilità ad identificare un percorso sporco/pulito, necessario per una corretta gestione dell’evento.
A questo va aggiunto la drastica riduzione del personale per l’elevato tasso di positività al test e il tentativo di colmare tale carenza con l’introduzione nel servizio di operatori provenienti da realtà totalmente differenti, reperiti in fretta e furia da altri servizi, mandati allo sbaraglio, impreparati a gestire questo tipo di utenza in un contesto come quello del focolaio in atto. Ne è conseguito che in diversi hanno presto abbandonato l’incarico.
Riceviamo notizia dagli operatori “superstiti” in servizio che, per i suddetti problemi legati all’assenza di un percorso sporco/pulito, sono costretti ad indossare i DPI (tuta o camice, mascherina, visiera, guanti e cuffia per i capelli) fino a 6/7 ore continuative: una prassi fuori da ogni grazia di protocollo. E ancora, giovedì 26 novembre sono stati effettuati i tamponi di controllo a tutti gli ospiti residenti ma non agli operatori in servizio precedentemente risultati negativi al test.
Come si giustifica questa gestione approssimativa? Perché la situazione sembra totalmente fuori controllo? Perché la cooperativa non ha provveduto, man mano che la curva epidemiologica andava peggiorando, a predisporre misure aggiuntive di sicurezza ai protocolli “acqua e sapone” dietro i quali si nasconde il risparmio di spesa? Chi deve fare cosa per porre rimedio a una situazione che sembra evolvere verso esiti drammatici?
È sufficiente il monitoraggio dell’ASL? Dove sono i protocolli relativi all’intervento, su questo tipo di utenza, che possa mettere a disposizione ad esempio gli Hotel Covid, per consentire l’assistenza di questi ospiti in contesti protetti?
Chiediamo chiarezza e responsabilità all’ASL e alla cooperativa, che in alcuni interventi sulla stampa locale si preoccupa più di ricamare sui buoni sentimenti che di rendere conto delle misure e dei protocolli adottati alla collettività delle famiglie di utenti e operatori.
Bologna, 2 dicembre 2020
USB Lavoro Privato
Fabio Perretta