Ordinarie storie di licenziamenti in capo alla Cgil
I fatti. Succede che FICO chiude, e con esso i locali che operavano all’interno, nella prospettiva di riaprire ad aprile/maggio.
Succede che tra le aziende che fanno le valige, tante puntano a rientrare ma con lavoratori più precari e flessibili: se FICO dovesse poi richiudere, non si rinnovano i rapporti di lavoro e il gioco è fatto.
Succede però che, oltre ai tanti già precari assunti come interinali o direttamente in nero (tra l’altro tutt’ora in causa), i lavoratori assunti con forme più stabili vengono licenziati, nonostante il blocco dei licenziamenti, con la formula della “risoluzione consensuale del rapporto” che di consensuale ha ben poco.
È il caso di una grande azienda del Ferrarese che, in concerto con la Cgil (sigh!), chiama a rapporto i propri dipendenti dopo aver stilato a porte chiuse un accordo collettivo di risoluzione consensuale.
L’ennesima riprova del servilismo alle aziende di un sindacato che non ha motivo di chiamarsi tale, che tutela le aziende e mai i lavoratori.
Ed è così che a lavoratori con due anni di anzianità viene imposto di firmare l’accordo accettando un’indennità ridicola e per poterlo fare iscriversi alla Cgil pagando una tessera dal costo di 1/5 dell’indennità. “Cornuti e mazziati” direbbe qualcuno.
L’assurdo di una dinamica sicuramente consolidata, ma che in questo caso siamo riusciti a stroncare intestandoci la trattativa per un’indennità ben più consistente.
Oggi, con il blocco dei licenziamenti ancora attivo, in tantissimi casi l’azienda ricorre alla risoluzione “consensuale” o all’esodo “volontario” per disfarsi dei propri dipendenti, spesso oltretutto con indennità ridicole.
Questa volta siamo riusciti a rompere questo meccanismo di liquidazione a suon di briciole e qual'ora dovesse capitare ad altri chiediamo di contattarci per far si che non succeda più.
Organizziamoci per non essere liquidati, i costi della crisi non devono essere scaricati sui lavoratori.
Federazione del Sociale USB Bologna
8-4-2021