Sanità: per la classifica di Gimbe al primo posto c’è l’Emila Romagna ma la sanità regionale è in crisi e la prima vittima è la nostra salute.
Nel report “Livelli Essenziali di Assistenza: le diseguaglianze regionali in sanità”, la Fondazione GIMBE ha analizzato i risultati dei monitoraggi annuali del Ministero della Salute dai quali emergerebbe il primato del sistema sanitario dell’Emilia Romagna. Ci aspettiamo che su questa notizia la Giunta Bonaccini faccia l’ennesimo annuncio di esultanza per ribadire l’eccellenza del proprio modello sanitario.
La realtà però è diversa: per cominciare i dati analizzati sono in gran parte quelli del 2018 e in parte del 2019, i dati per il 2020 non sono disponibili e la stessa fondazione Gimbe ritiene che 21 mesi di ritardo nei dati sia “inaccettabile, sia perché rappresenta un ostacolo rilevante per la programmazione, … sia perché può favorire strumentalizzazioni politiche”.
Che la realtà sia diversa lo vediamo dalla situazione dei conti regionali sulla sanità, dalla mancanza di personale e dalla crisi dei servizi ospedalieri e territoriali.
In questi giorni l’attenzione si è concentrata nella copertura del deficit sanitario, ma non basta ripianare buchi di bilancio ma occorre ripensare il modello regionale: anche se il deficit da 880 milioni di euro del sistema sanitario emiliano-romagnolo verrà ripianato con varie misure nel bilancio complessivo regionale la situazione rimane grave.
Di certo il servizio sanitario pubblico sembra non riuscire ad uscire dal baratro nel quale è definitivamente precipitato durante l’emergenza Covid e, con l’aggravante della crisi energetica provocata dalla speculazione finanziaria, ma queste spese straordinarie non giustificano la situazione.
La questione che ci interessa non è l’aumento dei costi ma come le risorse vengono distribuite, come sono utilizzate e la qualità del servizio sanitario: anche nella nostra regione la sanità – soprattutto la pubblica - sembra inesorabilmente destinata al definitivo ridimensionamento.
Dietro la vetrina della superiorità della sanità regionale, che attrae “turismo sanitario” da altre regioni (fenomeno e frutto marcio della regionalizzazione della sanità), la situazione si è aggravata rapidamente.
Le prestazioni che sono saltate durante la pandemia non sono state recuperate, le liste di attesa si allungano o sono chiuse, il numero delle visite di controllo e la chirurgia programmata scontano ritardi enormi, critica la situazione dei pronto soccorso come quella della medicina territoriale specie nelle zone montane.
Tutto questo mentre durante e dopo la pandemia è cresciuto lo spazio lasciato alla sanità privata, che macina profitti a spese dei fondi pubblici. Quando la giunta regionale di Bonaccini si vanta di sostenere un “sistema a forte e prevalente sanità pubblica” bisognerebbe verificare la realtà dei fatti.
La causa del rallentamento nell’erogazione delle prestazioni è sempre la mancanza di personale: mancano medici, infermieri e OSS. Questa carenza di personale sanitario si abbatte in maniera diversa sui cittadini: quelli che ne hanno i mezzi si rivolgono alla sanità privata che è diventata l’unica possibilità di accedere in tempi ragionevoli alle cure e alla diagnostica, mentre per gli altri c’è semplicemente la lunga attesa e la rinuncia a curarsi.
Se la politica regionale ha le sue responsabilità, a partire dalla accondiscendenza nei confronti del precedente governo Draghi riguardo il mancato ripiano delle spese emergenziali, è chiaro che il Governo Meloni nella legge di bilancio sta destinando le briciole alla sanità, con ad esempio solo un paio di miliardi per le maggiori spese per l’energia che, di fatto, sono già stati erosi dall’inflazione. Una vera aberrazione considerando che già destiniamo alla salute pubblica molto meno di quanto spendono per esempio Francia e Germania.
È invece il momento per pretendere che i finanziamenti per la sanità pubblica vengano massicciamente aumentati a partire dall’assunzione stabile del personale necessario, togliendo dalle mani delle regioni la sanità, sotto le quali la spesa è esplosa, respingendo l’autonomia differenziata e riportando sotto il controllo dello stato il servizio sanitario pubblico, universale e gratuito.