SERVIZI SOCIALI: BENE LA CENTRALIZZAZIONE MA NON BASTA
Prendiamo atto che il Comune, finalmente ma dopo otto anni, ha ammesso il totale fallimento della decentralizzazione nei quartieri dei servizi sociali, così come del progetto di esternalizzazione degli stessi all'ASP. Negli ultimi otto anni il risultato di tale programma è stato la parcellizzazione del servizio, con uno scarica barile continuo delle situazioni di emergenza con gli operatori lasciati soli a svolgere un lavoro “di frontiera”.
Si è dimostrato inevitabile, come noi auspichiamo da anni, un ritorno all'accentramento del servizio che è l’unico modo per costruire un disegno comune su come intervenire nella città.
Ma questa decisione nella gestione complessiva di un'emergenza sociale ed economica in aumento non può bastare: a titolo d'esempio ricordiamo la recente decisione del CDA di Bologna Fiere, di cui il Comune è socio e dà finanziamenti pubblici, di licenziare 123 lavoratori, scongiurata a oggi soltanto dall'azione sindacale e dalla determinazione dei lavoratori.
Non si può pensare che questa soluzione organizzativa sia sufficiente a coprire le sempre più pressanti e numerose richieste d'intervento che l'avanzare della crisi genera nella società. La disoccupazione, la precarietà a vita come la mala occupazione generate dal Jobs Act, così come la scelta di privatizzare ogni settore del welfare e smantellare il patrimonio abitativo pubblico, sono parte della strategia di governo, messa in campo anche dall'amministrazione Merola.
E' proprio su questo che occorre intervenire, invertendo questi processi, per scongiurare un'emergenza sociale che già ora non può più essere coperta solo dall'intervento dei servizi sociali.
Inoltre, sottolineiamo che l’annuncio è stato dato alla stampa dal capo di gabinetto, Valerio Montalto, prima ancora di qualsiasi confronto con i lavoratori e le rappresentanze sindacali e che questo è un fatto che comunque stigmatizziamo. Vogliamo ora, prima di un giudizio complessivo, che vengano chiariti gli sviluppi di tale riorganizzazione.
Se accogliamo come un fatto positivo la rinuncia all'ennesima esternalizzazione di un servizio alla persona, ora bisognerà capire come e dove verranno indirizzate le risorse per permettere a chi opera sul territorio di svolgere il proprio lavoro, senza essere chiamato a compiti al di fuori della propria mansione, con un salario adeguato e soprattutto in sinergia con reali progetti di inclusione sociale.
Dunque non una gestione “ad personam” del disagio, ma un vero e proprio progetto sulla città, basato su occupazione, diritti e casa, senza il quale non è sufficiente il lavoro del servizio sociale, per quanto pubblico e accentrato.